
Pallanuoto, arbitri, polemiche e convenienze
martedì, 26 Marzo 2019
Arbitri GAPI
È certo che gli arbitri sbagliano e possono sbagliare. O meglio commettono errori e possono commettere errori, inesattezze, sviste, abbagli, cantonate (da “cantone” che è l’angolo formato dai muri esterni di una casa, da cui nel significato figurato intendesi propriamente urtare…), equivoci. Tra situazioni di errore vero, supposto, con occhio neutrale o con l’occhio orientato dal fatto che si parteggia per una squadra, gli arbitri ricevono insulti, critiche, processi nel dopo partita, a livello mediatico: il che fa parte del contesto e dei riti relativi anche al nostro sport.
Proviamo ad ipotizzare e a partire da un punto di vista particolare ponendoci la domanda: conviene addossare colpe all’arbitro?
Parliamo prima di “colpa”. Giocatori, tifosi, addetti sono spesso convinti che gli arbitri agiscano in malafede. Tempi addietro per indicare la slealtà si utilizzava l’espressione “arbitro venduto”: oggi si ricorre più spesso all’impressione più ricercata secondo cui può esistere una sudditanza verso questa o quella squadra (più potente, per geografia). È certo che gli arbitri a volte commettono errori evidenti, sono soggetti a sviste clamorose, ma ragionando con serenità è più naturale e semplice pensare che si tratta di errori non intenzionali e non volontari, tralasciando il dolo. Gli errori accidentali hanno la proprietà di essere variabili sia in valore (consistenza, sostanza) sia in direzione (alla squadra A, alla squadra B) e si individuano semplicemente nell’osservazione obiettiva dell’accadimento, quando cioè il fatto accidentale viene giudicato senza coinvolgimento emotivo da parte dell’osservatore, con il contesto libero da ogni possibile presunzione, userei il termine serenamente.
Altro termine della domanda che merita un chiarimento è “conviene”? Non credo di poter escludere che un direttore di gara, irritato dalle proteste e dagli insulti, reagisca con interventi che penalizzano la squadra che lo mette in discussione o lo attacca. Così come, dall’altro lato, potrebbe favorire chi mantiene un comportamento rispettoso nei suoi confronti e tollerante verso i suoi errori. Può succedere, ma un buon arbitro è tale se sa controllare anche questi aspetti, umani, ma che condizionano negativamente la prestazione.
C’è poi da considerare che ognuno di noi, in misura maggiore o minore, tende a considerare che quanto gli succede dipende soprattutto da fattori esterni, come il fato, il destino, gli altri, questa o quella situazione… oppure da fattori interni, come il nostro impegno, la capacità, le nostre scelte. Immaginiamo allora una squadra che viene sconfitta, magari spesso. Colpa del direttore di gara? Potrebbero anche esserci circostanze sfavorevoli per cui si sommano errori arbitrali penalizzanti, a senso unico (o quasi). Esasperando il discorso mettiamo pure in conto la malafede. Ma anche se così fosse, alla fine non risulta più conveniente focalizzare l’attenzione critica e le emozioni esclusivamente o prevalentemente su questi. È vero che può esserci l’esigenza di scaricare la rabbia: addossarla a qualcuno può risultare un modo per alleggerirsi della tensione. Ma può anche essere una ricerca di scusanti per i propri errori.
L’esame oggettivo degli errori arbitrali può rientrare in una lettura tecnica della gara, consentendo di assegnare un peso più proporzionato ai diversi fattori che hanno contribuito al suo risultato. Risulta allora più conveniente, più utile per migliorarsi e per aumentare le probabilità di accantonare gli insuccessi futuri, il fatto di ritenere che ciò dipende dal nostro comportamento. Fino a quando resterò convinto che sia la sorte, il clima (meteorologico) o l’arbitro a determinare vittorie o sconfitte, il mio incidere sul corso delle cose verrà limitato e quindi su come finirà la partita, facendo meno di quanto è nelle mie possibilità e soprattutto potenzialità. Continuando a prendermela con le responsabilità degli arbitri calerà su di me un clima da persecuzione prima e depressione poi con un approdo alla arrendevolezza, che c’è poco o nulla da fare, insomma. Allora a che serve allenarsi, faticare, memorizzare schemi e tattiche?
Naturalmente devono essere applicate e incrementate iniziative per ridurre il tasso d’errore arbitrale. Attraverso la formazione continua e organizzata, l’allenamento, il ruolo degli osservatori istituzionali (responsabili, tutor) per valutare durante la stagione e con cadenza sistematica il livello tecnico, lo stato del controllo percettivo (la lettura del gioco) ed emotivo (lo stato delle reazioni interiori espresse dall’immagine estetico formale e da alcuni aspetti fisiologici), la capacità strategica nella gestione delle proteste e delle situazioni di tensione, l’ambito tecnico.
Resta comunque, piaccia o no, la questione secondo cui gli errori arbitrali ci saranno sempre. Se la disposizione è quella di ricercare in ragioni esterne colpe altrui potrà avvenire che la discussione dai decimetri passi ai millimetri e così via. Il vero cambiamento di atteggiamento va cercato in sè stessi per poter cambiare ed influenzare gli eventi. Quanto sopra riguarda il tifoso che può sostenere e incitare la propria squadra piuttosto che insultare l’arbitro, i giocatori che possono sentirsi maggiormente protagonisti e non vittime sacrificali, l’allenatore che può sentirsi come reale propulsore per la miglior preparazione alla vittoria.
Sempre che come ci ricorda Donald Nicholl “chiamate l’errore come volete, purché lo riconosciate per quello che è”.
Antonio Cernuschi
Responsabile Formazione Gruppo Arbitri PallaNuotoItalia